VIRUS, COSÌ CAMBIA LO SPAZIO PUBBLICO

di Alessandro Franceschini

Quali potranno essere gli effetti della crisi sanitaria in atto sull’evoluzione dell’uso dello spazio urbano? Mentre una inaudita fase emergenziale sta timidamente volgendo al termine si apre lo spazio per una seria riflessione su quella che potrebbe essere una nuova possibile riconfigurazione dello spazio pubblico delle nostre città. Le città storiche, com’è noto, sono costituite essenzialmente da spazio pubblico.

Fin dalla loro comparsa sulla faccia della Terra, diecimila anni fa, esse si sono poste l’obiettivo di essere lo spazio della vita comunitaria. Dentro le mura che proteggevano i primi organismi urbani, le comunità umane hanno iniziato ad organizzarsi in maniera diversa rispetto allo spazio rurale, mitico e millenario che avevano sempre abitato: lo spazio privato, famigliare, segreto della vita rurale ha ceduto il passo allo spazio pubblico della vita urbana: con l’obiettivo di assicurare inedite pratiche collettive: lo scambio commerciale e la difesa militare in un primo tempo; la promozione di altre fondamentali funzioni pubbliche – la pratica del governo politico, la celebrazione dei riti religiosi, l’esercizio della giustizia, la promozione dell’istruzione – in un secondo tempo.

Le città si sono quindi organizzate attorno ad edifici e luoghi pubblici, dando forma alla straordinaria conformazione di spazi collettivi della città storica: piazze, piazzette, slarghi, incroci; ma anche palazzi, chiese, edifici dedicati alla vita comunitaria.

L’Enigma dell’arrivo e del pomeriggio – Giorgio de Chirico

Ma proprio la «vita collettiva» è una delle pratiche umane fortemente messa in crisi dall’arrivo, dentro le nostre città, del «coronavirus». Una visita, quella del Covid-19, che non è solo momentanea: per il prossimo periodo – ci dicono i virologhi e ci spiegano gli epidemiologi – dovremo convivere con questo sgradito ospite, stando molto attenti agli assembramenti e ai contatti sociali, dentro i quali il patogeno virale si diffonde con maggiore rapidità.

E questo sembra contrastare inevitabilmente con la dimensione urbana, che trova proprio nella «densità» – di edifici, di funzioni, di persone – una delle cifre della sua esistenza. Tuttavia, prima ancora di pensare a sistemi di controllo sociale supportati dalla moderna tecnologia, forse potrebbe essere più utile riflette sulle modalità con cui la città fisica possa essere trasformata e adeguata alle nuove sensibilità.

Una delle soluzioni da promuovere nell’immediato potrebbe essere quella di cambiare radicalmente il modo di fare commercio e il modo di fare ristorazione dentro le città. Promuovendo maggiormente una naturale modalità di messa in sicurezza rispetto alla trasmissione del virus: l’aria aperta. Proiettando, di conseguenza, verso l’esterno una serie di attività che oggi si svolgono al coperto ma che non devono essere necessariamente legate esclusivamente agli spazi interni. Parte del commercio e buona parte della ristorazione potrebbero trovare ospitalità nelle strade cittadine, accelerando quel processo di espulsione del traffico dal centro storico da tempo invocato da molte parti. Riflettendo in particolare sulla città di Trento: perché non approfittare dell’urgenza di riattivare il commercio in città ripensando globalmente la fruizione del contro storico e trasformando il «Giro al Sas» in una grande area pedonalizzata, vietata a tutti motori, dove strade, marciapiedi, slarghi, piazze e piazzuole possano diventare un grande spazio a servizio del commercio e della ristorazione? Ecco: la contingenza di queste settimane potrebbe diventare una straordinaria occasione per rivedere, al meglio, questi spazi della città. Una trasformazione «temporanea», implementata sull’onda dell’emergenza ma nel segno della qualità urbana che, anche quando risultasse conclusa l’attuale paura del contagio – ne sono sicuro – non ci rifarebbe più tornare indietro.

Alessandro Franceschini

Pubblicato su Trentino del Martedì 5 maggio_2020

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