La Scuola in caso di emergenza

di Renata Attolini

La Terra ci ha dato segnali inequivocabili della sua impossibilità di reggere le
conseguenze della smania di espansione di un’umanità frenetica. Malgrado ciò
non ci hanno fermato le tempeste di vento, né gli incendi devastanti; lo scioglimento dei ghiacciai né l’aumento della desertificazione; le acque inquinate
da plastica e prodotti chimici e nemmeno l’aria resa irrespirabile.
Ora il COVID-19 ci sta dimostrando come le nostre vite possano cambiare
radicalmente in poco tempo e ci impone uno stop, con lo spauracchio del contagio universale, della morte, della paura. Ci chiede di tornare a prestare attenzione a tutto ciò che ci circonda e che abbiamo modificato per perseguire un benessere fittizio ed effimero.
Invece di lasciarci dominare dalla paura e disegnare scenari apocalittici, potremmo cogliere l’occasione per ascoltare la paura, valorizzarla e utilizzarla per
dare alla nostra vita un obiettivo diverso, quello di produrre processi di cambiamento in grado di riconciliare gli esseri umani tra loro e con gli altri esseri
umani, con la natura e con il proprio ambiente di vita, con le attività produttive, con i nostri stili di vita.
“Io mi prendo cura” dovrebbe diventare la linea guida di ogni azione umana e
dell’agire politico, di una politica a cui i giovani potrebbero tornare a guardare con
interesse.
Chi se non la scuola può e deve essere una risorsa fondamentale per riavvicinare
i cittadini alle istituzioni in ottica di democrazia partecipata, condivisione delle
responsabilità, alla politica intesa come servizio e come impegno sociale per la
collettività? La scuola può educare i futuri cittadini alla conoscenza e alla
sperimentazione delle regole del gioco democratico per saper, un domani,
operare delle scelte consapevoli, critiche, senza pregiudizi, evitando di lasciarsi
condizionare da falsi valori; può far comprendere che fare politica è occuparsi con
cura di ciò che ci è più vicino (gli affetti, l’ambiente, la cultura, gli spazi pubblici),
cambiando anche le nostre abitudini quotidiane.
Per fare questo non può semplicemente aggiungersi ad una serie casuale di
opportunità di conoscenza, deve piuttosto intervenire a mettere ordine tra la
pluralità di stimoli che l’alunno ha già incontrato. Il ragazzo della ragione, che
possiede le grammatiche logico-linguistiche di base (sapere); imposta con
chiarezza le questioni di indagine, le ipotesi e le possibili soluzioni (saper fare); sa
riflettere sulle conoscenze per organizzarle e renderle funzionali (saper essere), si forma togliendo casualità all’esperienza, dando significato a quanto è stato
acquisito.

(U.S. Air Force photo/Staff Sgt. R.J. Biermann) Aviano

Si tratta di un modo diverso di fare scuola, in cui il laboratorio diventa centrale in
un’accezione diversa rispetto a quella che siamo soliti attribuire a questo termine:
“laboratorio” è qualunque situazione in cui l’alunno affronta una situazione
problematica, si impadronisce degli strumenti della ricerca e li utilizza per
risolverla, nei tempi e con gli spazi adeguati.
Sebbene sia indiscutibile che l’istruzione sia un diritto collettivo che può essere
garantito esclusivamente nella scuola pubblica e che la politica scolastica sia di competenza statale e provinciale, è importante che l’amministrazione comunale
contribuisca in maniera sostanziale, con gli strumenti che le sono propri, ad un
progetto di scuola laboratoriale.

Una maggior disponibilità di risorse da parte dell’amministrazione comunale,
potrebbe contribuire ad una diversa politica scolastica, in grado di rispondere alle
esigenze delle famiglie attuali:
• tempi più distesi e spazi opportuni faciliterebbero rapporti collaborativi tra le
diverse “categorie” di utenti, fino alla costituzione di associazioni di insegnati e
genitori, in grado di cooperare fattivamente a progetti formativi, da esperienze
strettamente scolastiche (orto, teatro, uscite formative, …) alla soluzione di
problemi di ordine pratico, come l’accompagnamento nel percorso casa/scuola
e la vigilanza attiva durante l’anticipo e/o il posticipo, all’offerta di corsi per gli
adulti. L’amministrazione comunale poterebbe promuovere la realizzazione di
queste associazioni, raccoglierle in un registro e sostenere le loro attività con
risorse economiche e/o umane;
• una riorganizzazione degli edifici scolatici potrebbe realizzare spazi per
favorire le attività di laboratorio, ma, soprattutto, inserirsi nel riordinamento
dell’attuale struttura urbana, localizzando le scuole di quartiere in modo da
facilitare i genitori e sostenere eventuali iniziative autogestite di
accompagnamento e vigilanza dei minori nella scuola dall’obbligo;
• dentro un concetto di scuola come luogo di crescita a 360°, il Comune
dovrebbe aprire gli edifici a tutte le esperienze vive esterne di volontariato,
come struttura/attrezzatura collettiva e luogo di socializzazione. Allo scopo
andrebbero semplificate le pratiche per l’utilizzo degli edifici per attività extra
scolastiche, che il comune garantisce anche ora, ma ponendo grosse difficoltà
burocratiche per l’accesso alle strutture;
• nel contempo si dovrebbero supportare le scuole in esperienze che
consentano di far entrare il territorio nella realtà scolastica per educare gli
studenti ad una risposta responsabile ai bisogna della città, collaborando, ad
esempio, con il servizio parchi e giardini e/o con altri servizi che si occupano
della struttura urbana e della cura dei beni comuni.
Oggi, infine, l’emergenza corona virus ci ha insegnato un’altra cosa, ossia che la
tanto vituperata rete, che distraeva i ragazzi impedendo loro di imparare, può
diventare uno strumento potentissimo per rimanere in contatto con alunni e
studenti, per leggere, scrivere, discutere, osservare, condividere, analizzare,
riflettere, trovare soluzioni…
Nessuno di noi vuole proporre l’eliminazione della scuola in presenza. Sappiamo
che la relazione è fondamentale nel percorso di apprendimento e che un buon
insegnante, oltre a conoscere la propria disciplina e le adeguate metodologie
didattiche, deve padroneggiare le strategie atte a creare il benessere a scuola,
perché la dimensioni nascoste dell’azione formativa (spazio, tempo, regole, canali
comunicativi, …) influiscono anche sul raggiungimento degli obiettivi disciplinari
del progetto formativo.

Ma dobbiamo essere consapevoli del fatto che il computer rappresenta una sintesi delle possibilità strumentali, comunicative e creative dei diversi sussidi che la scuola aveva a disposizione fino a pochi anni fa. Lo strumento riassume, per certi versi, la complessità del mondo della comunicazione e va inserito in un progetto educativo che ne definisca l’uso senza perdere di vista obiettivi fondamentali come quelli dell’acquisizione di conoscenze, di competenze e di capacità comunicative e che trasformi l’aula di informatica nel luogo dove la figura dell’insegnante perde centralità per diventare facilitatore della ricerca e della sperimentazione degli alunni.

L’amministrazione comunale deve quindi garantire a tutte le scuole di ogni ordine e grado l’utilizzo di tutti gli strumenti e le tecnologie che consentono alla scuola di  affrontare questa complessità con una sempre maggiore consapevolezza e preparazione.

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