di Alessandro Franceschini –
Il governo del territorio è una faccenda assai complicata. Ci si può anche illudere che sia una questione puramente amministrativa – e quindi accessibile teoricamente a tutte le donne e a tutti gli uomini di buona volontà – ma, nella pratica, si tratta si tratta di un’attività caratterizzata da un grande complessità tecnica, per gestire la quale servono strumenti, conoscenze, competenze. Questo breve assunto può aiutarci ad aprire una riflessione su di un tema di grande attualità: il ruolo del sapere esperto disciplinare (non solo quello urbanistico, naturalmente) rispetto al governo di una città o di un territorio. Alla luce di un dato di fatto ad oggi inaudito: stiamo attraversando una fase storica caratterizzata da un evidente rifiuto della competenza.

È il tempo della «Mediocrazia», per citare Alain Deneault, della presa del potere dei mediocri: basta dare un’occhiata alla povertà dei curriculum vitae dei politici di professione, anche ai più altissimi livelli del Paese, per capire come la scarsità di competenza sia diventata un valore sdoganato dalla prassi. Quasi che l’amministrare i beni pubblici fosse un mestiere per il quale si possa nascere imparati o ci si possa inventare da un giorno all’altro. A patto di avere la parlata sciolta e la faccia come il bronzo. Invece, se proviamo a focalizzare bene il tema, non è sempre stato così. Anzi: non è mai stato così. Non sembri peregrino, in questa sede, citare Antonio Gramsci, quando spronava gli intellettuali – esattamente cent’anni fa – a lasciare i loro grigi studioli per «mescolarsi attivamente alla vita pratica come costruttori, organizzatori, persuasori permanenti». Oppure Jean-Paul Sartre, incessante promotore dell’intellettuale come «tecnico del sapere pratico» che si «immischia in ciò che non lo riguarda», alla ricerca di una coerenza necessaria tra individuale e universale. O ancora a Pier Paolo Pasolini conscio del ruolo del pensatore come colui che «mette insieme pezzi disorganizzati e frammentari» trasformandoli in un «coerente quadro politi-co».Può sembrare un paradosso ma proprio in questo momento storico la politica avrebbe invece bisogno di sapere esperto, di intellettuali, di professionisti disposti a sporcarsi le mani per il bene pubblico. Perché viviamo all’interno di una società e di un tempo caratterizzati da una grande complessità, la quale ha, oggi più che mai, necessità di competenze, di sapere e di conoscenze. Si tratta, in altre parole, di disvelare, attraverso l’azione pratica, la «responsabilità politica della tecnica», o meglio ancora «la fondatezza tecnica della politica» – per citare l’urbanista Maurizio Carta, a Trento venerdì scorso alla libreria Due Punti per presentare il suo ultimo intitolato, non a caso, Futuro. Politiche per un diverso presente.Proprio il lavoro di Carta – che è stato anche amministratore della sua città, Palermo – ci suggerisce che qualche segno di risveglio s’inizia ad intravvedere. E l’auspicio potrebbe essere proprio questo: che competenza e politica possano tornare a camminare a braccetto, arricchendosi l’una con l’altra. Le elezioni amministrative comunali del prossimo maggio potrebbero essere un’importante occasione, in tal senso, anche per segnare un cambio di rotta nella scelta del profilo dei candidati sui cui apporremo la croce nella silenzio della cabi-na elettorale: perché se è vero che stiamo attraversando tempi nuovi, è anche vero che questi tempi abbisognano di abilità nuove: propensione all’ascolto e alla pro-posta, capacità di analisi e di sintesi, talento per il discernimento e il progetto. Capacità e competenze a servizio delle comunità che potrebbero far tornare il fare politica davvero – come lo era nella polis greca – la più nobile delle attività umane.

Pubblicato su Trentino del Martedì 25_febbraio_2020